La Soprintendenza Archivistica ha la sua sede in un elegante edificio in stile liberty, conosciuto a Cagliari come Palazzo Barrago. In realtà il palazzo si dovrebbe chiamare più correttamente Casaccia, dal nome del suo primo proprietario, l'imprenditore ligure Agostino Casaccia, che lo fece edificare tra il 1913 e il 1915: le sue iniziali "A C" sono ancora ben visibili nell'elemento in terracotta posto sopra l'ingresso principale.
A quell'epoca il Casaccia si trovava a Cagliari per impiantarvi un'attività vinicola e vi rimase per alcuni anni, insieme alla numerosa famiglia che lo aveva seguito e per la quale fece costruire questa palazzina nella zona di Villanova, allora periferica.
Esauriti i suoi interessi nell'isola, nel 1923 l'imprenditore tornò nella sua terra d'origine e la palazzina venne data in affitto almeno fino all'inizio della guerra, quando le difficoltà nei collegamenti resero difficile ad Agostino Casaccia di occuparsi dei suoi beni in Sardegna e lo costrinsero a disfarsene. Il nuovo proprietario, Francesco Barrago, morì poco dopo l'acquisto, nel 1955, lasciando eredi i suoi figli Antonio e Fedele.
Nel 1974, lo Stato dichiarò l'edificio di notevole interesse storico, in quanto apprezzabile esempio di architettura liberty, ormai quasi del tutto scomparsa nel capoluogo e quando, qualche anno dopo, i fratelli Barrago decisero di vendere la palazzina, il vincolo architettonico posto sul bene, permise alla Soprintendenza per i Beni Ambientali di esercitare il diritto di prelazione.
Il cosiddetto Palazzo Barrago passò quindi al demanio statale e fu destinato a sede della Soprintendenza archivistica che poté prenderne possesso nel 1996, a conclusione di un lungo intervento di restauro.
La costruzione si sviluppa su due piani, collegati da un'elegante scalinata che, insieme ai decori dei prospetti su strada, costituisce un preciso riferimento allo stile costruttivo originario. In particolare, le decorazioni in terracotta che ornano la facciata principale rappresentano uno dei migliori esempi cittadini dell'uso, molto comune all'epoca, di questa tecnica di abbellimento "povera".